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Spesso non è sufficiente “raccogliere i dati”: i dati provengono da realtà di cui è opportuno conoscere la diversità, e non soltanto dal punto di vista linguistico.

Una rapida riflessione che trae spunto da una recente ricerca internazionale….

In questi ultimi anni uno dei maggiori crucci di chi viaggia per visitare i paesi Europei è la globalizzazione. Una volta si tornava a casa con la valigia piena di curiosità reperite all’estero (introvabili in Italia), ora l’intensa offerta commerciale pare appiattita e ad appannaggio dei grandi gruppi, che propongono ai consumatori un po’ le stesse cose ovunque.

Questo può portare a credere che acquistare e usare le stesse cose ci faccia “indossare” le stesse abitudini e lo stesso modo di vivere. Ma non è così.

Mi trovo a seguire un fieldwork che abbiamo commissionato in una grande città del nord della Germania: vestita di tutto punto e con trapuntino al seguito non sono preparata al caldo torrido (prima osservazione, il nord della Germania in maggio riesce ad offrire una calura da tè nel deserto) e la gente che affolla le strade è vestita come in Sicilia in agosto.  Affamata, assetata e accaldata mi siederei volentieri davanti ad una bella birra ghiacciata, ma non vedo neppure un bar. Le strade sono un’infinita teoria di negozi e vetrine, solo negozi e vetrine che propongono gli stessi articoli di tutti i giorni di tutto il mondo, solo qui con i prezzi alle stelle  (seconda osservazione: la Germania è un paese molto caro).

Sono quasi le nove di sera ed è ancora giorno, infilo un’altra strada sempre alla ricerca del bar e finalmente arrivo in una piazza. Mi si offre uno spettacolo inaspettato: ci saranno un migliaio di persone sedute a bere e a mangiare, che creano un sordo cicaleccio fatto di toni ovattati e bisbigli (terza osservazione: i tedeschi alzano la voce solo quando sono in vacanza in Italia). I volti sono tutti di colori e sfumature diverse: visi pallidi, ambrati, scuri, tratti orientali, medio-orientali, capelli biondo platino accanto a riccioli neri…io sola bevo birra, per il resto è tutto un gran sorseggiare di cocktail, cappuccini freddi, granite, gelati. Mi spiegano che il nord della Germania è così, la grande offerta di lavoro degli anni passati ha reso questo paese meta di immigrati da una varietà di parti del mondo. Sono tutti tedeschi, oramai di seconda o terza generazione, ma il punto è che non “sembrano” tedeschi anche se si “sentono” tedeschi.  Difatti la persona che mi accompagna è figlia di un nigeriano e di un’ucraina, e mi parla orgogliosamente del suo Paese –  la Germania – spiegandomi che qui difficilmente riuscirei a mangiare wurstel e crauti perché la tradizione culinaria tedesca ha ceduto il passo ad un’offerta di cibi che è diventata un melange multietnico . Mi rendo conto che in questi luoghi si è formato uno stile di vita nuovo con abitudini diverse, e che dovremo tenerne in debito conto al momento di analizzare i risultati della nostra ricerca e verificare la performance dei prodotti in test. Accanto ad un certo sforzo di adottare tutto ciò che fa “apparire” tedesco e occidentale, si percepisce infatti da un lato l’abitudine a ritenere alcuni tratti delle tradizionali abitudini della famiglia d’origine, e al contempo la curiosità e l’accettazione, con l’adozione nel tempo, di modi diversi.

Probabilmente questo accade in chissà quanti altri luoghi apparentemente immuni da questo fenomeno. Ma – quarta e ultima osservazione –  forse tale presunta immunità deriva semplicemente dal fatto di essere inconsapevolmente partecipi di questo processo. Di cui bisogna senza dubbio tener conto nelle ricerche multi-country.