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Con il termine Big Data si intendono i set di dati le cui dimensioni superano la capacità di analisi dei normali strumenti di software.

Che oggi i dati affluiscano come un fiume in piena in tutto il mondo e da tutte le parti del mondo è un dato di fatto…

 

Che oggi i dati affluiscano come un fiume in piena in tutto il mondo e da tutte le parti del mondo è un dato di fatto, anche se molti ritengono che in buona sostanza si tratti di un’intrusione alla propria privacy.

In fondo, è questa la regola della rete, che si basa sul principio do ut des  in materia di informazione e dati, a qualsiasi livello. La tecnologia digitale è ovunque, in ogni settore, in ogni azienda di qualsiasi tipo e dimensione. Non solo, ma la capacità di generare, comunicare, condividere ed accedere ai dati è stata rivoluzionata dal crescente numero di utenti, strumenti e sensori che oggi sono connessi tra di loro grazie alle reti digitali.

Solo nel 2010 più di 4 miliardi di persone (pari al 60% della popolazione mondiale) usavano telefoni cellulari; tra questi, il 12% era costituito da smartphone, la cui penetrazione sta costantemente crescendo al tasso del 20% all’anno, assumendo un ruolo imponente nel settore dei social network tanto da aver, per questo tipo di utilizzo, superato il tradizionale pc.  E non dimentichiamo quei 30 milioni di nodi di sensori , tutti in rete, in settori quali quello finanziario, dei  trasporti, dell’industria, dei servizi pubblici e del commercio, che fanno registrare ogni anno un incremento del 30%.

A questo punto si capisce come le quantità di dati stiano diventando davvero BIG – masse enormi dall’afflusso costante. Poterli “catturare”, elaborare, analizzare ed utilizzare è la nuova sfida: se indiscutibili potrebbero essere i vantaggi – a tutti i livelli, anche per i consumatori, che beneficerebbero di prodotti e servizi (soprattutto nel settore pubblico) progettati al netto di tanti difetti e inefficienze – altrettanto oneroso si presenta però il compito di gestirli. Saranno infatti necessarie nuove tecnologie hardware e software, ma anche nuove modalità di raccolta, analisi e lettura dei dati, nuovi sistemi di calcolo ed esperti in grado di farne uso. Nel mondo digitale i dati provengono da fonti molteplici e disparate, il che significa saperli accorpare, omogeneizzare, e poi contenere, prima ancora che elaborare in modo diverso da quanto si faccia oggi e con l’ausilio di nuove piattaforme e tecnologie.

La società McKinsey ha condotto uno studio approfondito sui Big Data, giungendo alla conclusione che il loro sapiente utilizzo – a patto di disporre di tecnologia e conoscenze in grado di gestirli -porterebbe ad enormi vantaggi in termini economici, in quanto capaci di generare valore.

Il  settore pubblico – e di conseguenza il cittadino –  potrebbe essere il grande beneficiario di questa “rivoluzione dei dati”. Pensiamo alla pubblica amministrazione a livello nazionale ed anche europeo: rendere tutta una mole di dati rapidamente accessibile all’infinita serie di enti, agenzie, uffici pubblici dislocati sul territorio e operanti in modo indipendente porterebbe ad una riduzione di tempi e oneri. Inoltre la possibilità di incrociare queste masse di dati a livello non solo macro, ma anche micro, produrrebbe già nel breve termine tutta una serie di scenari  a carattere predittivo basati su dati economici reali. Senza tralasciare il fatto che gli amministratori sarebbero finalmente in grado di misurare il livello dei servizi erogati, confrontandosi  con un benchmark unico.

L’utilizzo di tecniche di segmentazione, così come avviene nel settore privato, contribuirebbe poi ad incrementare l’efficacia dei servizi offerti e di conseguenza la soddisfazione del cittadino  – perché se da un lato è vero che il principio etico prevede che uno Stato sia tenuto ad offrire lo stesso servizio a tutta la cittadinanza, è anche vero che il risparmio proveniente da un’offerta più mirata ed incisiva nei confronti di fasce di popolazione opportunamente individuate si tradurrebbe nella possibilità di maggiori investimenti a favore di categorie più svantaggiate.

Il settore distributivo è probabilmente quello che oggi si trova più all’avanguardia nell’uso dei Big Data (pensiamo a Wal-Mart negli USA, che fu il primo gigante della grande distribuzione ad utilizzare un sistema di scambio dati elettronico per connettersi alla supply chain, o alle tecniche di incrocio dei dati sulle preferenze dei consumatori ed il loro comportamento d’acquisto, che hanno consentito ad Amazon e poi a tanti altri siti web di proporre ai loro visitatori la famosa frase “se hai scelto questo articolo potresti essere interessato anche a….”, esempio lampante di utilizzo dei Big Data).

E ancora, nel settore produttivo l’integrazione di informazioni e dati  provenienti dalle unità R&D, ingegneristica e produzione potrebbero convergere nella realizzazione di un time to market significativamente ridotto,  aumentando allo stesso tempo la qualità dell’offerta.

La materia prima dunque c’è già (basti pensare che allo stato attuale quasi il 90% della quantità di dati presente nel mondo non viene neppure utilizzata) e le potenzialità offerte dai big data evolvono rapidamente grazie all’innovazione tecnologica.

Permangono tuttavia delle perplessità, destinate ad assumere un ruolo di primo piano: ad esempio la tutela della privacy, la sicurezza dei dati, la proprietà intellettuale, la responsabilità. I dati personali come quelli sulla salute e sui movimenti finanziari possono offrire benefici significativi quali ad esempio l’ottimizzazione delle cure o di un prodotto finanziario. Ma sono anche le categorie di dati più sensibili, e questo significherà trovare il giusto compromesso tra privacy e loro utilizzo.

E per finire, una volta in grado di “governare” i Big Data, chi sarà in grado di garantire che “pezzetti” di informazione non vengano copiati e assemblati a propria discrezione, visto che lo stesso dato potrà essere utilizzato simultaneamente da più utenti?  Per non parlare poi della proprietà intellettuale: chi sarà il proprietario di un certo dato, e quali i diritti e gli obblighi connessi? Cosa significherà “uso corretto” dei dati?

Forse è ancora presto per porsi questi interrogativi, ma certo i Big Data sono già qui!