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Non basta che sia bello, originale, divertente: per essere condiviso da migliaia di spettatori, un video online necessita di un “ingrediente” strettamente connesso con la personalità dello spettatore

Uno studio condotto dalla prestigiosa Harvard Business School approfondisce gli elementi in grado di rendere virale un video pubblicitario online

Per creare un video pubblicitario che diventi poi virale non è sufficiente renderlo appetibile in termini di intrattenimento. Basti pensare a come di recente due video pubblicitari di acque minerali, entrambi di impatto e sapientemente realizzati, abbiano in un caso raggiunto 53 milioni di visioni su YouTube, e nell’altro solo 500. Perché?

Il prof. Thales S. Texteira della prestigiosa Harvard Business School ha individuato il mix di ingredienti necessari a far sì che un video online sia così attraente da indurne non soltanto la visione da parte del singolo, ma anche e soprattutto da volerlo condividere con amici, familiari e collaboratori. In altri termini, di farlo diventare virale, una delle tecniche pubblicitarie più economiche e al tempo stesso efficaci, che ricade nell’ambito di quello che Teixeira definisce come “lean advertising” cioè saper comunicare in modo più semplice e meno costoso i prodotti o i servizi offerti da un’azienda.

Secondo il prof. Texteira, “oggi la gente non vuole più informazioni dettagliate su un certo prodotto, tutto ciò che serve sapere si trova già online. Oggi quello che si ricerca è l’intrattenimento” che da solo però non basta. Perché un video diventi virale servono quattro elementi chiave: il video deve attrarre l’attenzione di chi lo guarda, deve essere in grado di trattenerla, deve invogliare a condividerlo, e deve infine essere convincente. È il mix ottimale di questi quattro ingredienti a far sì che il successo sia (quasi) assicurato.

Nel corso della conferenza tenutasi a fine giugno in occasione del Cannes Lions International Advertising Festival, il prof. Texteira ha illustrato come esperimenti di laboratorio condotti con l’ausilio di tecniche quali eye-tracking e di software per misurare la mimica facciale lo abbiano portato a questa conclusione. Nel corso dello studio, i partecipanti dovevano visionare dei video pubblicitari reali, liberi di seguirli tutti, di saltare alcune parti, o di passare indifferentemente da uno all’altro. Ne è emerso che “sorprendere” è la chiave per attrarre l’attenzione, mentre “evocare continui momenti di gioia” è la chiave per trattenerla. I migliori video infatti erano quelli che iniziavano con qualcosa di insolito o sorprendente, e proseguivano facendo in qualche modo sorridere lo spettatore.

Ma poi, la condivisione? Dopo ulteriori studi, Texteira ha avuto modo di provare che questa fase non riguarda più il versante emozionale, bensì la personalità dello spettatore. La motivazione principale alla condivisione virale risulta essere l’egocentrismo, o meglio il desiderio dello spettatore di “raccogliere consensi” o “rendersi interessante” agli occhi di conoscenti ed amici.

I pubblicitari pertanto dovrebbero essere capaci di creare video che non solo conferiscano al prodotto un forte profilo emozionale, ma la cui propagazione faccia in qualche modo ben figurare chi li condivide. Questa per Texteira è la “simbiosi pubblicitaria”, un meccanismo secondo cui pubblicitario e spettatore traggono entrambi beneficio dalla condivisione.