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Gli allevamenti estensivi sono responsabili dei due terzi delle emissioni di gas serra derivanti dalla produzione alimentare, con evidenti ricadute sull’ambiente e sul clima

Diminuire il consumo di carne non è impossibile, con il ricorso a messaggi e a termini in grado di rendere le alternative altrettanto attraenti.

Le previsioni sul consumo di carne a livello mondiale indicano che nell’arco dei prossimi trent’anni potremmo addirittura arrivare al raddoppio. Si tratta di un dato allarmante, considerando le implicazioni a livello di sfruttamento delle risorse naturali e aumento delle emissioni di gas serra. Da oggi al 2050, la domanda mondiale di sola carne potrebbe aumentare del 96%, indotta dal sempre maggiore consumo in Cina e in India. Gli allevamenti estensivi sono responsabili dei due terzi delle emissioni di gas serra derivanti dalla produzione alimentare, ed è facile capire come una domanda sempre crescente comporti un impatto sempre più pesante sull’ambiente e sul clima.

Dimezzando il consumo pro capite di carne nei Paesi sviluppati, tale impatto si ridurrebbe nettamente, tuttavia mangiar carne è un’abitudine così radicata nel regime alimentare di tante culture, che è difficile pensare di passare a regimi incentrati sui vegetali, piuttosto che sugli animali.

Un gruppo di ricercatori ha però varato un progetto che potrebbe invertire il trend, e che inizia con una ricerca sul linguaggio.

Consapevole del fatto che parole come “salutare” e “verdure” hanno il potere di allontanare i consumatori, piuttosto che attrarli, il gruppo formato da esperti di marketing, economisti comportamentali e ricercatori di mercato, e capitanato dal World Resources Institute (WRI), si sta occupando di studiare l’adozione di termini che siano in grado di rendere più attraenti le alternative alimentari vegetali.

Il linguaggio adottato dal marketing e i termini utilizzati nelle diciture delle etichette hanno infatti un ruolo importante: si è riscontrato ad esempio che facendo assaggiare ad un campione di consumatori due identici biscotti, l’uno etichettato come “salutare” e l’altro no, il primo è risultato nettamente meno saporito dell’altro.

I ricercatori sono convinti che alcuni “trucchi” di marketing che hanno funzionato in passato possano contribuire a spingere i consumatori verso scelte vegetali. Si potrebbe ricorrere a confezioni di alimenti vegetali simili a quelli degli alimenti animali, come nel caso di un’azienda che, dopo aver scelto per il proprio latte di soia un packaging identico a quello del latte tradizionale, ha visto le vendite degli ultimi 5 anni impennarsi a + 250%. Un’altra tattica di marketing potrebbe essere quella di utilizzare assaggiatori di alto profilo, ad esempio i personaggi più in voga del momento, per cambiare le regole sociali e rendere certe scelte più appetibili o al contrario socialmente inaccettabili. Come in Cina, dove una serie di spot pubblicitari con personaggi molto noti e amati che mostravano di non gradire le pinne di squalo ha portato a ridurre del 70% il consumo di questo alimento.

Purtroppo ad oggi la tutela dell’ambiente non rientra ancora nelle principali motivazioni di scelta dei consumatori, ma lo è la ricerca della salute e del benessere: ecco quindi che ribattezzare i bastoncini di merluzzo con la denominazione “Bastoncini Omega 3” ha portato ad un incremento del consumo del poco nobile pesce.

La ristrutturazione del linguaggio e dei messaggi sembra dunque rappresentare un valido strumento per cambiare le abitudini alimentari.  Basti pensare che un’insalata pronta, dopo essere stata ribattezzata “superfood salad”, è entrata nella classifica dei 25 piatti pronti più amati in Inghilterra!